L’importanza dei dati e della loro trasformazione in informazioni e decisioni mette in rilievo il ruolo del data analyst. Ecco chi è, cosa fa e perché è utile


Raccogliere dati, analizzarli, elaborarli e trarne conclusioni: questo, in sintesi, è ciò che fa il data analyst, il cui lavoro non si ferma qui. Sulla base dei rapporti che redige, le aziende prendono decisioni strategiche. Da qui si comprende l’importanza di un mestiere tutt’altro che tramontato. Così farebbe pensare la classifica dei lavori in crescita nel 2022 di Linkedin: a una professione “passata”. Nella top ten delle professioni più richieste, al quarto posto c’è l’ingegnere dei dati. Sotto la descrizione, tra i “ruoli principali ricoperti in precedenza”, si menziona l’analista dei dati. Idem dicasi, più sotto per il sesto lavoro più in crescita, il consulente di data management.

Per far comprendere quanto, invece, sia una professione attuale e ricercata si prenda il calcio, lo sport più amato e seguito in Italia e in gran parte del mondo. Sempre più squadre di altissimo livello si stanno dotando di data analyst per riuscire a ricavare dai moltissimi dati raccolti durante le partite informazioni utili per migliorare la squadra e la disposizione tattica.

Uno dei giocatori più conosciuti, Kevin De Bruyne, colonna del Manchester City, ha discusso il rinnovo del suo contratto facendo riferimento a un report preparato da un’agenzia di data analytics. Questo è solo un esempio, per quanto illustre, per chiarire quanto oggi siano richiesti i data analyst, che la stessa Investopedia – la principale fonte di contenuti finanziari sul web al mondo – conferma tra le professioni più ricercate al mondo.

In Italia circa un terzo delle PMI ha un data analyst o, comunque, conta su una delle figure dedicate alla gestione dell’analisi dei dati, riporta Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano. Lo stesso riportava già nel 2019 che il 76% delle grandi aziende lo contava nel proprio organico.

Vediamo allora cosa faccia e perché sempre più aziende non possono più farne a meno.

Cosa fa un data analyst

I data analyst lavorano sui dati e da questi ricavano informazioni preziose per la vita aziendale. Oggi sappiamo quanto enti e imprese di ogni settore facciano affidamento su di essi per prendere decisioni cruciali che spaziano dalla produzione al marketing.  Li usano anche per identificare le inefficienze e altri problemi aziendali che devono essere affrontati. Sui dati si basa l’analista il cui lavoro è di assegnare un valore numerico a tutte le più importanti funzioni aziendali in modo che le prestazioni possano essere valutate e confrontate nel tempo. Ma la sua professione implica ben più che “guardare i numeri”: come detto, un data analyst deve anche sapere come utilizzare i dati per permettere a un’azienda di prendere decisioni più informate. 

C’è però analisi e analisi. Sono almeno quattro le tipologie di data analytics da considerare: analisi descrittiva, diagnostica, predittiva e prescrittiva. La prima esamina ciò che è successo in passato. La seconda prende in esame i motivi per cui è accaduto qualcosa, di positivo o di negativo. Per quanto riguarda l’analitica predittiva, essa cerca di determinare i probabili risultati rilevando le tendenze nelle analisi precedenti. Questo permette a un’organizzazione di intraprendere azioni proattive. Infine, l’analitica prescrittiva cerca di identificare quale azione commerciale condurre.

Il lavoro del data analyst è focalizzato in particolare sulla prima. È lui che va a analizzare i dati attraverso statistiche descrittive, oltre a utilizzare i linguaggi di interrogazione dei database per recuperare e manipolare le informazioni. Tra i suoi compiti c’è anche quello di eseguire il filtraggio dei dati, la pulizia e la trasformazione iniziale, comunicando i risultati al team usando la data visualisation. Da qui la necessità dei professionisti dell’analisi dei dati: permettono di capire la qualità dei dati e proporre modi e procedure per aumentarla. Inoltre, sono basilari nel processo decisionale grazie alla loro abilità di tradurre le tabelle di dati in un linguaggio comune rappresentato con tutti i report e dashboard fantasiosi. Nessuno capisce i dati finché non vengono trasformati in una chiara rappresentazione visiva.

Quanto guadagna un data analyst?

Detto questo, cerchiamo di capire quanto possa guadagnare in Italia un professionista di analisi dei dati. Da quello che riportava nel 2018 l’Osservatorio del Politecnico di Milano, lo stipendio medio annuo di un data analyst è di 27mila euro. Glassdoor riporta cifre più alte: mediamente un Data Analyst percepisce in un anno più di 30mila euro.

In Europa, secondo Data Career (dati 2018), gli stipendi di un Data Analyst junior raggiungono gli 83mila euro annui in Svizzera, mentre in Germania e nei Paesi Bassi la cifra si assesta sui 50mila € l’anno, che sono i Paesi UE più redditizi. Nel complesso, lo stipendio annuale mediano per le posizioni junior si aggira intorno a 35mila €.

Grafico degli stipendi dei Data Analyst in Europa
Stipendi medi di un Data Analyst nei vari paesi in Europa (secondo di dati di DataCareer aggiornati al 2018)

Molto più elevate le quotazioni negli Stati Uniti: il Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti riporta uno stipendio annuale mediano di 86.200 dollari. Ma c’è chi prende di più: per esempio, secondo Comparably, il Data Analyst della NASA guadagna in media 91.073 dollari all’anno, che comprende uno stipendio base stimato di 85.198 dollari con un bonus di 5.875 dollari. La retribuzione è di 13.561 dollari superiore alla media statunitense per la stessa figura professionale, il cui stipendio negli USA può variare da poco più di 67mila a 145mila $.

Come diventare un data analyst: le skill necessarie

Il ruolo di data analyst richiede abilità matematiche, statistiche e analitiche, che possono essere acquisite attraverso studi scientifici e una laurea in matematica o in ingegneria informatica, per esempio. Sono preziose per raccogliere, misurare, organizzare e analizzare i dati.

Servono poi competenze tecniche che comprendono tanto la conoscenza e l’uso di strumenti come Excel quanto di linguaggi standardizzato per database come SQL o Python, compresa anche la padronanza di software di visualizzazione interattiva dei dati come Tableau o RawGraphs.

Oltre alle competenze adatte per saper estrarre i dati da un database aziendale, e saperli analizzare, deve anche comunicare in modo adatto i risultati per riportarli al team e ai decisori aziendali.

Data analyst vs data scientist

I due specialisti hanno una base comune su cui lavorano, i dati appunto, ed entrambi generano intuizioni da grandi data set, ma la differenza sta in ciò che fanno con questi. I data analyst esaminano grandi serie di dati per identificare le tendenze, sviluppare grafici e creare presentazioni visive per aiutare le aziende a prendere decisioni più strategiche.

I data scientist, invece, progettano e costruiscono nuovi processi per la modellazione e la produzione di dati usando prototipi, algoritmi, modelli predittivi e analisi personalizzate.

Gli analisti utilizzano i dati per trarre intuizioni significative e risolvere problemi. Analizzano insiemi di dati ben definiti utilizzando svariati strumenti per rispondere a esigenze aziendali concrete, come comprendere perché le vendite sono calate in un dato periodo.

Indipendentemente dalle differenze tra data science e data analytics, molte aziende stanno cercando entrambe le figure per colmare le lacune di “esperti di dati” all’interno della propria azienda. Negli ultimi cinque anni, un numero crescente di industrie, come l’istruzione, l’intrattenimento, la vendita al dettaglio, l’assistenza sanitaria, le organizzazioni non profit e il governo hanno iniziato a cercare professionisti dei dati, quindi non c’è un solo tipo di industria che sta cercando data scientist o analyst.

Il mercato italiano

L’Italia si dimostra un mercato recettivo per chi è un data analyst. Riprendendo l’analisi dell’Osservatorio Big Data del Politecnico milanese, quasi tutte (93%) le grandi imprese investe in progetti di Analytics, le PMI meno, ma comunque anche in questo caso la maggioranza (62%) lo fa. Se la richiesta maggiore è di data analyst (il 76% delle grandi imprese ne contava la presenza, stando ai dati 2019, che segnavano una crescita del 20%), è sentita, seppur minore, anche la crescita di presenze come data scientist e data engineer. Nelle PMI meno di un quarto (23%) ha introdotto almeno un data analyst e ancora meno (16%) un data scientist.

Nel report 2021 si nota che c’è molta “fame” di analytics come comprovano i 2 miliardi di euro di mercato, in crescita del 13%. La grande maggioranza delle grandi aziende (quasi otto su dieci) lavora all’integrazione di dati provenienti da diverse fonti, ma è il dato riguardante le Piccole e medie aziende che colpisce: seppure siano ancora indietro, un terzo delle PMI sondate conta nel proprio organico figure dedicate alla gestione dell’analisi dei dati, in particolare proprio gli analisti dei dati.