Prendere al volo sfide e opportunità, senza lasciare nulla al caso. Non sono in tanti, nello scenario attuale, a poter aiutarci in una missione così difficile, ma tra essi spicca senza dubbio il Digital Transformation Manager, un ruolo nato, sin dalla dicitura, dall’omonima tendenza che rappresenta ormai la mission di interi comparti industriali. Il suo contributo serve a tenere insieme le fila di siti ufficiali, canali social e, nel complesso di una fitta rete di competenze.

Da un report del Politecnico di Milano è emerso, a fine 2020, come, in cima alla lista degli imprenditori, ci sia la tensione a quantificare l’impatto dell’innovazione e sapere dove insistere e con che impegno. Si avverte la necessità di un coordinatore che se ne prenda carico, possibilmente aggiornato sugli sviluppi più recenti. Una soluzione top level può essere il Digital Transformation Manager che ha la caratura adatta per essere al centro della rivoluzione in atto.

L’invenzione della sua figura deriva dall’espansione del digitale, che ha ricadute di peso sul mercato, rimanere indietro è un delitto ed è consigliabile guardare avanti e intercettare i driver di crescita. Un Digital Transformation Manager è in grado di far compiere al nostro business l’upgrade agognato. Vediamo come e perché è così essenziale per le strategie aziendali.

Chi è e cosa fa un Digital Transformation Manager

Un Digital Transformation Manager, nell’organigramma, si va a configurare come un dirigente che ha il compito di sovraintendere a molteplici aree al fine di tracciare una strada comune. Tratti che ci fanno intuire come sia un leader per i team interni e un riferimento per partner e fornitori. Appena insediatosi, il Digital Transformation Manager delinea un piano di azione per attuare i mutamenti più importanti, iniziando con l’uniformare le tecnologie in uso nell’impresa.

Il suo apporto consiste, di frequente, nello scovare vulnerabilità da aggiustare o frangenti da implementare, magari attraverso tecniche di artificial intelligence e IoT, l’internet delle cose. Quando è chiamato in causa, sa catalizzare l’attenzione, a patto di avere precise linee guida per avviare la modernizzazione voluta dall’alto. Il Digital Transformation Manager articola le sue giornate tra mansioni pratiche e una pregressa pianificazione, rimanendo sempre conforme, ovviamente, a normative e regolamenti.

Da un lato intercetta l’esigenza di informatizzare il contesto in cui si trova, dall’altro deve partire dalla consapevolezza di valori e prospettive su cui esso si fonda. Una volta entrato nel mood dell’azienda, il Digital Transformation Manager sa ancora di più dove intervenire e come. Un tassello fondamentale è il confronto, per il quale un Digital Transformation Manager non può prescindere da abilità relazionali che sono il collante per un bagaglio strettamente accademico. Vediamo in che modo avviene tale connubio.

Le competenze necessarie

Il panorama a cui attinge il Digital Transformation Manager è vastissimo e va dal marketing fino alla finanza. Dal punto di vista individuale, egli deve sapersi mettere in discussione, e risolvere le sfide che si presentano quotidianamente. Non c’è una risposta univoca alle singole situazioni, motivo per cui il Digital Transformation Manager si deve interfacciare con il gruppo. Una carica, dunque, che mira a stimolare le skill in organico, facendo quasi da mentor, un’identità corroborata da spirito di iniziativa e data culture. Sì, perché informazioni e archivi sono le sue fonti e vanno analizzate al meglio.

Cifre e numeri sono degli indizi chiave che, lette con attenzione, segnalano al Digital Transformation Manager la direzione verso la quale andare. D’altronde, per assicurarsi che l’andamento da lui suggerito scorra liscio, deve costantemente controllare i flussi di lavoro e raccogliere i relativi feedback. Deve essere insomma pronto a capire cosa non va e come rimediare, senza imporsi ma cooperando con i colleghi che lo affiancano.

Una parte di rilievo è ricoperta dalla security che scandisce la tabella di marcia del Digital Transformation Manager. Da lui ci aspetta una garanzia di sicurezza che si spinge oltre il virtuale, calandosi nella realtà contingente. Essere dei guru di computer e smartphone non basta, bisogna conoscere i passaggi principali della filiera in cui si opera, dall’approvvigionamento al post-vendita, con un supporto che sia valido ed efficace.

Quanto guadagna un Digital Transformation Manager?

Giungiamo allora all’aspetto puramente economico, da non sottovalutare. C’è innanzitutto da premettere che, come per il cloud architect non ci sono delle tabelle a cui rifarsi, non essendo un mestiere tradizionale. Tuttavia, da statistiche e report sul tema, apprendiamo che la busta paga può essere da subito incoraggiante. Un Digital Transformation Manager, appena formato e alla prima assunzione, può guadagnare circa duemila euro al mese ed aspirare, con l’impegno dimostrato, a vette sempre più elevate.

Lo stipendio medio al momento è di 50mila euro l’anno, una R.A.L. che può arrivare a 80mila per profili esperti. Compensi che fanno intuire quanto gli investitori tengano ad inserire dei Digital Transformation Manager negli organici delle loro attività, specialmente in un periodo in cui l’innovazione non finisce mai di stupire, tra robotica e intelligenza artificiale.

Cosa succede quindi? Che il Digital Transformation Manager indica come stare al passo coi tempi e, in cambio, viene premiato con fiducia e un rapporto di continuità. Non stiamo parlando di una moda, ma di qualcosa che rimarrà stabilmente in futuro, perché, soprattutto in seguito a pandemia e lockdown, molte azioni si svolgono in casa e davanti a uno schermo. Circostanza che non può più lasciare spiazzati, per cui il budget va regolato di conseguenza, che si tratti di una start-up o di una multinazionale affermata.

Come diventarne uno: il percorso formativo

Per diventare un bravo Digital Transformation Manager gli insegnamenti più determinanti si ricevono successivamente al diploma o alla laurea, anche se in materie STEM. Ciò non toglie che una triennale o una magistrale in informatica o ingegneria possano dare sicuramente una preparazione e un metodo di assoluto successo. A fare la differenza, comunque, è il curriculum maturato dopo gli studi, ad esempio ad un colloquio può essere vincente riferire di avere trascorsi in R&D (Research and Development) o telecomunicazioni, possibilmente con funzioni direttive.

Essersi cimentato con responsabilità di questo tipo gioca a favore di chi si candida a Digital Transformation Manager che deve essere una finestra sul mondo per chi ne richiede le prestazioni. Nel cv può essere utile aggiungere corsi in discipline e aree apparentemente distanti ma che, al momento giusto, si rivelano decisive. Dal public speaking alla mentalità progettuale, passando per la creazione di piattaforme sul web e alla loro cura: pensiamo agli Enterprise Resource Planning che regolano ritmi e scadenze.

Esistono iter dedicati prettamente al Digital Transformation Manager, come master ad hoc da frequentare in presenza o da remoto. L’iscrizione può essere gratuita o meno, ma l’invito è quello di approfondire la questione, se si avverte un certo interesse a voler cambiare meccanismi vecchi, portando una ventata di novità. Lo stesso vale per la passione, se c’è va coltivata, magari cominciando con l’acquisto di saggi sul tema per avere un’infarinatura. Di pagina in pagina si potrà scoprire se vogliamo seguire le orme di chi ci ha preceduto e ci sta trasferendo un po’ del suo background.