Tra le principali implementazioni del Cloud Computing ritroviamo il cloud privato (private cloud), il cloud pubblico (public cloud) e il cloud ibrido (hybrid cloud), possibilità che consentono alle aziende di sfruttare le possibilità e i vantaggi offerti su più livelli dalle logiche “on demand”, “pay per use” e “as a service”, superando di gran lunga le potenzialità e la convenienza di un’infrastruttura IT tradizionale.
Nel contesto della presente analisi valuteremo le caratteristiche, i vantaggi e le particolarità distintive dell’hybrid cloud, a partire dalla sua definizione.
Cos’è e a cosa serve l’hybrid cloud
Tra le varie definizioni possibili di cloud ibrido una delle più esaustive ce la offre Gartner, quando lo identifica in una modalità coordinata e policy based di gestione, utilizzo e provisioning dei servizi IT nell’ambito di un insieme di servizi cloud interni ed esterni (privati e pubblici).
Interpretando la definizione di Gartner, lo specifico dell’ibridazione delle varie piattaforme cloud disponibili sarebbe dunque caratterizzato dalla governance, dalla capacità di gestire nel migliore dei modi i flussi di dati e i carichi di lavoro previsti. La natura ibrida di questa tipologia di cloud consente infatti di dare luogo a moltissime strategie, in grado di soddisfare in maniera dinamica le esigenze di ogni azienda.
In coerenza con le logiche del Cloud Computing, a livello di funzionalità, l’hybrid cloud deve necessariamente connettere in rete più macchine (reali e virtuali) per accedere a dati ed eseguire applicazioni in maniera scalabile, grazie alla possibilità di usufruire on demand soltanto delle risorse computazionali necessarie a soddisfare le proprie esigenze.
Un altro aspetto fondamentale del cloud ibrido è dato dall’interconnettività dei vari ambienti nella “nuvola” sul web. Ciò consente di gestire e spostare dinamicamente i carichi di lavoro tra i vari cloud pubblici e privati, quasi sempre attraverso un’unica interfaccia di controllo accessibile da una pagina web.
Di fronte al primo approccio al Cloud Computing, la domanda che un’azienda potrebbe lecitamente porsi è: ma il cloud ibrido è adatto alla nostra organizzazione? Compatibilmente con le competenze IT e gli investimenti da adottare, dal punto di vista dei vantaggi, siamo nell’ambito di quella che potremmo definire una win-win situation, grazie all’ampio range di possibilità che possono derivare da una sua consapevole implementazione. Per rendere tangibile questi concetti è sufficiente pensare alla quantità di opzioni combinate che, da soli, un cloud pubblico o un cloud privato non sarebbero mai in grado di soddisfare.
I limiti nell’attuazione di una strategia IT basata sul cloud ibrido non sarebbero quindi da ricercare nelle caratteristiche e nei vantaggi che questo modello può garantire, quanto nella complessità nel reperire le competenze necessarie per elaborare una strategia davvero capace di sfruttare le potenzialità date dall’ibridazione.
I vantaggi dell’hybrid cloud
L’adozione di un hybrid cloud offre sostanzialmente due macrocategorie di vantaggi: quelli derivanti dalla sua generale contestualizzazione nel Cloud Computing e quelli più specifici, tipici delle proprietà offerte dall’ibridazione.
- CONVENIENZA – garantita dal risparmio nell’investimento hardware e software, oltre che alla configurazione ed alla gestione dell’infrastruttura IT, dal momento che tutti questi aspetti sono a carico del cloud pubblico cui si accede pagando soltanto ciò di cui si necessita;
- SCALABILITA’ – data dalla possibilità di ottenere on demand risorse addizionali sui cloud pubblici, senza il rischio di sovradimensionare l’infrastruttura IT interna all’azienda.
- SICUREZZA – contestualizzata su due livelli. Nell’ambiente privato è infatti possibile conservare i dati critici, mentre nell’ambiente pubblico ci si avvale del lavoro che i provider cloud effettuano costantemente per garantire i più elevati standard di sicurezza per proteggere dati e applicazioni dalle minacce derivanti dalla rete. A ciò si aggiunge la possibilità di avvalersi di sistemi di backup evoluti, in grado di ripristinare rapidamente eventuali perdite o compromissioni di dati.
Tutti i modelli di Cloud Computing si basano sul paradigma “As a Service”, grazie a servizi erogati via web, on demand, sulla base delle effettive esigenze computazionali. A ciò corrisponde una logica di consumo che ne determina proporzionalmente il prezzo.
L’hybrid cloud non fa eccezione, ma si differenzia grazie alla possibilità di collocarsi a piacimento tra gli estremi del cloud privato e del cloud pubblico. Si tratta di un fattore che rende più semplice ragionare in termini di costi-benefici. Se il cloud pubblico offre economie di scala superiori rispetto al cloud privato, quest’ultimo costituisce una soluzione spesso obbligata da carichi di lavoro che, per varie ragioni, non possono essere distribuite in un ambiente pubblico. La strategia ibrida consente dunque di risolvere tutte le esigenze nella direzione di ottimizzare sia le prestazioni che i costi generali. A livello tecnologico il cloud ibrido offre inoltre sfruttare la virtualizzazione per riallocare in qualsiasi momento le risorse in modo dinamico. Questo vale sia per le macchine virtuali che per i carichi di lavoro associati, oltre che per gli altri aspetti IT, tra cui lo spazio di archiviazione, piuttosto che le risorse di rete, come la banda di traffico utilizzabile.
Per quanto concerne invece le proprietà specifiche offerte da un modello di cloud ibrido, ritroviamo almeno due punti chiave:
Vantaggi nella migrazione al cloud
La transizione da un modello tradizionale all’ecosistema basato sulla “nuvola” non deve per forza avvenire in maniera drastica, in quanto è possibile pianificare una migrazione progressiva o sviluppare ex novo applicazioni native per l’ambiente ibrido, ossia capaci di distribuire le loro parti utilizzando inoltre più cloud pubblici e privati. Un’altra opportunità di assoluto rilievo consiste nell’evitare l’effetto di lock-in con un determinato provider pubblico, con la possibilità di riposizionare in maniera più flessibile lo svolgimento dei carichi di lavoro previsti.
Vantaggi della governance: velocità e automazione
Oltre ai benefici dati dalla sinergia tra cloud pubblico e cloud privato, una strategia consapevole consente alle aziende di godere di una governance capace di garantire dei benefici a breve e a lungo termine, soprattutto nei contesti di sviluppo, per quanto riguarda la velocità del codice per la produzione, lo svolgimento in parallelo di più attività, la possibilità di supportare e testare più tecnologie, promuovendo dunque la facilità di introdurre innovazione nei processi.
Architettura dell’hybrid cloud
Interpretando il cloud ibrido come un tipo di cloud computing in grado di connettere e sfruttare congiuntamente sia i cloud privati che i cloud pubblici, risulta naturale comprendere come la sua architettura IT preveda un livello di portabilità, orchestrazione e gestione dei carichi di lavoro in due o più ambienti, a partire dalle seguenti combinazioni:
- almeno un cloud privato e un cloud pubblico;
- almeno due cloud privati;
- almeno due cloud pubblici, opportunità spesso definita come multicloud.
I possibili usi dell’hybrid cloud, funzionalmente alla sua architettura, sono potenzialmente infiniti, tra questi ritroviamo:
- ibrido analitico: tipico delle applicazioni ERP e CRM, che consiste nella separazione tra i processi transazionali e quelli analitici. Nei primi vengono inserite le informazioni, successivamente memorizzate ed elaborate nell’ambiente analitico;
- ibrido segmentato: quando si disaggregano le funzionalità di un’applicazione, posizionando il back-end su cloud privato e il front-end su cloud pubblico;
- ibrido multicloud: quando si sceglie di utilizzare almeno due cloud pubblici contemporaneamente, bilanciando i relativi vantaggi di ciascuno, ad esempio per quanto riguarda il prezzo relativo ad un determinato servizio, piuttosto che le opzioni relative alla sua scalabilità.
L’ampio raggio di possibilità offerte dal cloud ibrido consente, come abbiamo visto, di ottenere grandi vantaggi, a patto di possedere adeguate competenze nel progettare e costruire ambienti scalabili e resilienti, in grado di assecondare in tempo reale le esigenze IT di un’azienda. Tali compiti sono solitamente affidati ad una figura professionale emergente quanto specifica e sempre più apprezzata nel mercato IT: il Cloud Architect.
Come il nome stesso suggerisce in maniera abbastanza esplicita, il cloud architect è uno dei principali architetti della trasformazione digitale e deve essere dotato di competenze multidisciplinari, che vanno dalla comprensione del business e dell’offerta aziendale, ad approfondite conoscenze informatiche soprattutto per quanto concerne il networking, le applicazioni, i linguaggi di programmazione, i database e la gestione dei big data & analytics.
Oltre a progettare l’architettura ideale per ciascuna azienda, il cloud architect deve saper monitorare il suo funzionamento, valutare le metriche e gli andamenti, per correggere e migliorare progressivamente la l’efficienza della strategia generale, sfruttando la naturale scalabilità che caratterizza gli ecosistemi cloud.
La valenza strategica del cloud ibrido non andrebbe mai “banalizzata” nel disporre di una quota parte di cloud privato ed una di cloud pubblico. La chiave sta nell’amministrare e bilanciare al meglio ogni risorsa IT, applicazione e carico di lavoro, ai fini di minimizzare i rischi man mano che aumenta la loro produttività generale.
In altri termini, le architetture cloud sono oggi molto evolute, ma per sfruttarle appieno occorrono competenze che non sono ancora così diffuse. È la ragione per cui i cloud architect sono ad oggi una delle professionalità più ricercate e meglio retribuite nel mercato del lavoro informatico.
Dal punto di vista pratico, una delle prime valutazioni da fare quando si pianifica l’implementazione di un cloud ibrido consiste nel capire se migrare in toto le applicazioni attive sull’infrastruttura esistente, piuttosto che sviluppare soltanto quelle nuove, nativamente progettate per funzionare in maniera ottimale nell’ambiente ibrido. In ogni caso, quando si sviluppa un’applicazione, per sfruttare al meglio le capacità offerte dal Cloud Computing, è fondamentale disaggregare le sue funzionalità, per distribuirle sfruttando le migliori proprietà offerte dai vari cloud pubblici e privati disponibili, oltre a ridurre in modo significativo i rischi di lock-in con un determinato provider, dato dalla dipendenza tecnologica da alcuni suoi servizi esclusivi, piuttosto che dal variare delle condizioni contrattuali, che potrebbe far venire meno l’opportunità a livello di business.
La strategia relativa alle applicazioni può orientare anche la scelta del servizio cloud di riferimento. Gli scenari possibili sono anche in questo caso moltissimi. Nel caso dello sviluppo di un’applicazione un Paas (Platform as a Service) è senza dubbio più comodo per il fatto di garantire ai programmatori l’ambiente di sviluppo completo. Come accennato in precedenza, ciò potrebbe generare il rischio di un lock-in, nel caso in cui il provider cloud utilizzasse delle tecnologie proprietarie esclusive, che precluderebbero la migrazione delle sue parti su altri cloud. In tal caso non è da escludere l’impiego di una IaaS (Infrastructure as a Service), che, come suggerisce il nome stesso, garantisce in prevalenza l’infrastruttura hardware e di rete, totalmente scalabile e personalizzabile a livello software.
Anche in questo caso, la grande flessibilità offerta dal modello ibrido non obbliga a scelte esclusive, ma consente di testare più condizioni ai fini di identificare le condizioni operative più efficaci per assecondare ogni esigenza IT dell’azienda.
Hybrid cloud, esempi applicativi
In termini generali, il cloud ibrido consente di dare luogo a tutte le possibilità applicative per cui abbia senso avvalersi del Cloud Computing. Il denominatore comune risiede spesso nella necessità di elaborare una grande quantità di dati, a maggior ragione quando ciò avviene in maniera episodica, rendendo di fatto ingiustificato sovradimensionare l’infrastruttura IT locale, che rimarrebbe sottoutilizzata per lunghi periodi. Ciò si traduce di fatto nell’orchestrazione IT, che consente di rendere operativa la governance e la gestione dell’intera infrastruttura aziendale.
Una delle casistiche più diffuse nell’adozione di un cloud ibrido è appunto determinato da particolari necessità di gestione ed il trattamento dei dati, una condizione che rende molto spesso insufficiente l’adozione di un cloud pubblico, costringendo ad affiancargli anche un cloud privato. La combinazione dei due ambienti ci proietta automaticamente in una condizione ibrida, in cui è proprio la governance a fare la differenza, ben più delle potenzialità specifiche dei cloud coinvolti.
Le applicazioni storage costituiscono dunque un ambito preferenziale per il cloud ibrido. Se il cloud pubblico genericamente tende a garantire un maggior numero di vantaggi in funzione dei costi di utilizzo, la natura di certi dati potrebbe non consentire la loro archiviazione sui data center di provider terzi. Ciò accade con frequenza in determinati ambiti operativi, come quelli sanitari, finanziari e militari, dove la natura sensibile del dato stesso obbliga la sua archiviazione su una infrastruttura locale o su un cloud privato. In altre occasioni, il medesimo vincolo può essere dettato da esigenze di natura contrattuale, quando ad esempio un cliente non vuole che un servizio di terzi possa in alcun modo accedere alle proprie informazioni o a consentirne il possibile trasferimento per mezzo di una rete pubblica, dove potrebbero essere oggetto di un attacco informatico.
In tale contesto, l’utilizzo di un cloud ibrido consente ad una azienda di avvalersi della scalabilità, affidabilità e potenza di elaborazione di un cloud pubblico, con tutta la convenienza economica che ne deriva, riservando al cloud privato soltanto i carichi di lavoro legati ai set di dati che non è possibile utilizzare in ambiente pubblico.