Nell’attesa di una nuova normalità che sembra non arrivare mai, si fa un gran parlare di innovazione digitale. Non passa un giorno che i media non finiscano per esaltare una nuova e favolosa tecnologia in grado di cambiare per sempre le nostre vite, salvo farla cadere nel più totale oblio una volta affievolitosi il clickbaiting sui social.

Accanto a certa fantascienza mediatica, sforzandoci un pochino di più, possiamo osservare il mondo reale, un’ambiente assai meno aulico, dove si aggirano gli imprenditori in carne ed ossa, alle prese con i problemi concreti, quei problemi a cui le tecnologie, quelle che esistono per davvero, possono oggi offrire soluzioni concrete, nell’ottica di avviare nuovi business o ritrovare quella competitività che molte aziende paiono aver irrimediabilmente smarrito nel contesto di un’economia globale che sembra avanzare con una velocità decisamente superiore alla loro capacità di rinnovamento.

Nello confuso immaginario che caratterizza questo frenetico e surreale periodo sarebbe più che mai auspicabile non illudere nessuno, cercando piuttosto di orientare verso una responsabile politica dei piccoli passi, che consenta alle aziende, in particolare le piccole e medie imprese, di superare gli ostacoli che ritrovano lungo il loro percorso di trasformazione digitale.

I dati dell’Osservatorio per l’innovazione digitale delle PMI del Politecnico di Milano, aggiornati a fine 2020, ci offrono un’occasione preziosa per scattare la fotografia della situazione, delineando uno scenario entro cui molti imprenditori potrebbero riconoscersi, per ritrovarsi meno soli di fronte ad una strada sicuramente in salita, ma che con gli opportuni accorgimenti può essere finalmente scalata con successo: la strada dell’innovazione digitale.

Innovazione digitale delle PMI: il ritardo delle imprese italiane

PNRR - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

L’avvio del PNRR (Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza) ha dimostrato una sorprendente attenzione della politica nei confronti delle PMI, un ampio calderone in cui tradizionalmente vengono fatte rientrare le aziende tra 10 e 249 dipendenti, con un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro. A livello numerico, rappresentano soltanto 220mila delle 4,4 milioni di aziende attualmente attive in Italia, ma la loro incidenza è pari al 41% dell’intero fatturato nazionale, oltre a garantire l’occupazione del 33% dei lavoratori dipendenti del nostro Paese. Per quanto riguarda i principali settori applicativi, le PMI si concentrano per il 31% nella manifattura, per il 18% nel commercio e per il 13% rispettivamente nell’ospitalità e nella ristorazione.

Alle PMI, il PNRR dedica importanti risorse, utili per favorire la dotazione di beni materiali e immateriali, formazione, ricerca e quant’altro possa loro risultare utile per ridurre il gap in termini di innovazione che attualmente sussiste rispetto ai competitor europei.

Tracciare un quadro omogeneo è tutt’altro che semplice, in quanto alla voce PMI rientra di fatto sia la piccolissima impresa a rilevanza locale, sia la possibile eccellenza a livello internazionale, che con ogni probabilità non necessita di alcun consiglio in merito alle proprie dotazioni tecnologiche. A prescindere dal campione analizzato, la ricerca dell’Osservatorio per l’innovazione digitale delle PMI del Politecnico di Milano rileva come solo il 21% delle aziende intervistate si ritenga a buon punto nel proprio percorso di trasformazione digitale.

Il 2020 è stato un anno notoriamente atipico, complice il devastante impatto della pandemia Covid-19 sulle dinamiche economiche, che ha creato un definitivo punto di rottura con il passato, costringendo le aziende ad ammodernarsi adottando in larga misura soluzioni digitali. È quanto rileva il 36% del campione di PMI intervistato.

Per il resto, il 27% delle imprese ritiene che il digitale non possa offrire loro particolari benefici al punto da giustificare la spesa, in quanto troppo marginale rispetto al proprio settore di attività. Un ulteriore 15% delle imprese vorrebbe ma non può, e sostiene che il digitale costi troppo per pensare di poterlo implementarlo in maniera strutturata all’interno dei propri processi.

Fare di necessità virtù: la pandemia Covid-19 e l’accelerazione del digitale

La drammatica spinta del Covid-19 a favore del digitale è avvenuta in due ambiti prevalenti: l’e-commerce ed il remote working, due situazioni in cui i lockdown hanno letteralmente stravolto da un giorno all’altro tutte le prassi consolidate, mettendo a nudo un insieme di fragilità latenti, che prima o poi avrebbero fatto crollare il castello a prescindere dai disastrosi effetti dell’emergenza pandemica.

Le aziende che si sono ritrovate con i canali retail chiusi hanno rimediato in fretta e furia adottando soluzioni e-commerce proprietarie o utilizzando i marketplace di terze parti. Dopo aver tamponato la situazione, oltre 4 PMI su 10 dichiarano di voler effettuare maggiori investimenti per abilitare o potenziare il proprio comparto e-commerce anche negli anni a venire.

Nel frattempo, le aziende che si sono ritrovate tutti lavoratori a casa hanno investito in soluzioni IT capaci di garantire la produzione da remoto. Una reazione che, pur tardiva e adoperata in situazioni di totale emergenza, ha consentito quel minimo di resilienza che in molti casi ha letteralmente salvato la vita delle aziende. Il remote working ha comportato soprattutto il potenziamento dei processi relativi alla raccolta, analisi, scambio e archiviazione dei dati, rivoluzionando la gestione documentale all’interno dell’azienda. Tale condizione ha comportato una notevole diffusione dei servizi in cloud, attualmente utilizzati da 7 PMI su 10, mentre la quasi totalità delle aziende dichiara di utilizzare sistemi digitali per gestire almeno parzialmente la propria documentazione in modalità elettronica.

Come si pongono le PMI nei confronti dell’innovazione digitale?

Leggendo nel dettaglio i dati pubblicati dall’Osservatorio, ci si confronta con alcuni indicatori piuttosto preoccupanti. Soltanto il 3% delle aziende sarebbe attualmente dotato di reti e sistemi di accesso da remoto che consentano di reperire facilmente e in sicurezza i dati al di fuori dell’azienda. Nella maggioranza dei casi (53%) i dati sono accessibili soltanto parzialmente, mentre nel 18% dei casi sono disponibili esclusivamente presso le sedi aziendali.

Al di là della presumibile arretratezza o degli scarsi investimenti effettuati a favore delle infrastrutture IT, in questo frangente pesano influsicono certamente i timori relativi alla sicurezza, in parte alimentati dalle continue notizie di aziende che subiscono attacchi. Soltanto il 37% delle PMI disporrebbe infatti di soluzioni di sicurezza informatica adeguate. Per quanto riguarda le tecnologie emergenti, ad esempio l’utilizzo delle piattaforme IoT e dei sistemi Big Data & Analytics, soltanto il 12% avrebbe già investito in attività di questo genere.

La situazione non migliora di molto quando prendiamo in esame le piattaforme gestionali, che dovrebbero costituire la pietra agolare della dotazione software per una grandissima varietà di aziende. Soltanto il 36% delle PMI sarebbe dotato di un ERP, tecnologia che risulta del tutto aliena al 33% delle imprese intervistate, tra chi afferma di non conoscerla o di non volerla in alcun modo prenderla in considerazione.

Sulla base dei risultati raccolti, l’Osservatorio ha inoltre condotto una categorizzazione delle PMI italiane, suddividendole in quattro cluster: analogico (7% PMI), timido (40% PMI), convinto (44% PMI), avanzato (9% PMI), da cui emerge come la maggioranza delle imprese si trovi in una condizione di mezzo nei confronti del digitale, ed andrebbe spronata a fare il passo decisivo nell’intraprendere con maggior decisione il proprio percorso di innovazione. Una spinta che rientra dichiaratamente nelle intenzioni e negli obiettivi del PNRR.

Comunque si intenda leggere i dati che abbiamo appena riassunto, è evidente come al di là di tutte le buone intenzioni, la strada da fare, oltre ad essere in salita, sia ancora incredibilmente lunga.

La vera sfida del digitale: superare le barriere culturali nei confronti dell’innovazione

A livello di know how, il 42% delle PMI dichiara di possedere competenze digitali insufficienti (17%) o distribuite in maniera non omogenea all’interno dell’azienda (25%) innescando situazioni di squilibrio e inefficienze tra i vari reparti. Tale condizione esprime la difficoltà nell’introdurre e soprattutto nell’utilizzare per davvero le nuove tecnologie in maniera diffusa all’interno dell’azienda. Vi è dunque uno skill gap che va colmato con investimenti mirati ad introdurre una culturale digitale in azienda, oltre a puntare sull’assunzione su figure giovani, motivate e, si presume, dotate di competenze mirate per svolgere determinati incarichi. Non sono facilissime da trovare, tant’è che le aziende più grandi hanno da tempo intrapreso un’attività di recruiting nelle sedi universitarie.

Il PNRR potrà essere la soluzione? Ni. Il PNRR metterà a disposizione importanti risorse, creerà certamente gran parte delle opportunità che promette nelle 269 pagine della sua completa descrizione. Il PNRR garantirà la realizzazione delle infrastrutture pubbliche per garantire migliori servizi, a partire da banda larga e connettività avanzata, consentirà un più semplice accesso alla liquidità, offrendo direttamente garanzie agli istituti di credito. Saranno tuttavia le imprese a doversi organizzare per cercare di aggiudicarsi e sfruttare le ingenti risorse promesse dal piano. La pubblica amministrazione dovrà inoltre snellire la macchina burocratica e incentivare delle campagne di comunicazione utili ad informare in modo corretto in merito ai bandi e alle iniziative in atto. Troppo spesso le aziende, senza rivolgersi ad un consulente, non sono nemmeno in grado di sapere che sono ad esempio disponibili dei bandi utili alle loro attività, dovrebbero trascorrere il loro tempo a spulciare all’interno dei portali istituzionali, piuttosto che concentrarsi nello specifico sulla loro attività. Sul fronte della trasparenza e della comunicazione c’è davvero molto da lavorare. A livello di competenze sono previste interessanti opportunità per finanziare dottorati di ricerca finalizzati all’assunzione nelle aziende di figure ad alta specializzazione.

Dal canto loro, le aziende devono dimostrarsi attive e responsabili. In primo luogo, nel definire una strategia consapevole nei confronti del digitale, cui va riconosciuto un ruolo di valore effettivo nel raggiungimento degli obiettivi di business, oltre che nella definizione dell’offerta, i,n particolare per le aziende che sviluppano soluzioni basate proprio sulle tecnologie digitali.

Quando si riesce a definire con chiarezza un obiettivo, diventa molto più semplice evidenziare i problemi da risolvere e trovare delle soluzioni efficaci grazie alle tecnologie digitali. Per abilitare questa visione è pertanto necessario colmare un gap culturale, prima che tecnologico. In tal senso, la prima categoria che andrebbe formata è quella dei decisori, dei top manager, in modo che sappiano percepire con un maggior livello di consapevolezza quelle opportunità che soltanto il digitale può garantire per rilanciare la competitività delle loro aziende.