Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) rappresenta un’opportunità unica per rilanciare la competitività del sistema produttivo italiano, con investimenti nella digitalizzazione senza precedenti, sia per quanto riguarda le misure economiche che la progettualità che sostiene la struttura di un piano che pare avere le idee ben chiare, nella speranza che sappia anche metterle in pratica.

Rispetto alla media europea, l’Italia presenta evidenti limiti soprattutto per quanto riguarda l’infrastruttura tecnologica, a sua volta indispensabile per abilitare l’azione delle cosiddette tecnologie abilitanti dell’industria 4.0. Gli obiettivi che il PNRR si pone sono focalizzati nel ridurre il gap tecnologico nei confronti dell’Europa. Da un lato l’infrastruttura pubblica dovrà rivelarsi capace di garantire servizi efficienti alle imprese e ai cittadini. Dall’altro le imprese dovranno sfruttare le opportunità del piano per digitalizzarsi e acquisire all’interno le competenze necessarie per innovare la propria offerta.

Quando al Forum Ambrosetti il ministro Colao promette che entro il 2026 l’Italia avrà la banda larga ovunque, un cloud nazionale e in generale una maggior autonomia tecnologica rispetto alla condizione attuale, si prende i suoi bei rischi. Ma non ci sono più scuse. Questo momento non è ulteriormente rimandabile. La politica deve fare la sua parte per rigenerare la fiducia e l’entusiasmo del nostro sistema imprenditoriale, chiamato alla sfida più difficile dal secondo dopoguerra.

Vediamo dunque in cosa consiste il PNRR e quali sono le principali opportunità che, sin dalla premessa firmata da Mario Draghi, le 269 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza promettono alle imprese italiane, in quello che sarà a tutti gli effetti un quinquennio per molti aspetti decisivo per le sorti dell’economia del Paese.

Il PNRR e riforme: una pioggia di miliardi per realizzare sei missioni

Per fare fronte alla crisi pandemica, l’Unione Europea ha varato il Next Generation UE (NGEU), programma dalle ambizioni inedite, con un investimento complessivo di 750 miliardi di euro per supportare le riforme lungo tre assi principali: la digitalizzazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale. La rinascita del vecchio continente passa per una riforma di valori profonda, con l’obiettivo di innescare una condizione in cui la crescita economica corrisponda ad una condizione di miglioramento continuo del benessere sociale.

Ogni paese membro aveva facoltà di avanzare le proprie richieste con una manovra finanziaria ad hoc. L’Italia ha puntato senza mezzi termini al massimo degli importi disponibili. Le somme previste per l’attuazione del PNRR comprendono le risorse richieste al RRF (Recovery and Resilience Facility), oltre a quelle rese disponibili dal REACT-EU e alla programmazione nazionale, che va a costituire un ulteriore fondo complementare. Il PNRR può contare su un totale di oltre 235 miliardi di euro.

Le sei missioni fondamentali previste dal PNRR prevedono un budget massimo, ottenibile soltanto qualora si riuscisse a sfruttare interamente la somma a disposizione, attivando tutti i piani, programmi e progetti previsti nei sei capitoli principali ed in tutte le relative sottovoci:

Missione 1: Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo (totale 49,86 miliardi)

  • M1C1 – Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA – 11,15 miliardi
  • M1C2 – Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo – 30,57 miliardi
  • M1C3 – Turismo e Cultura 4.0 – 8,13 miliardi

Missione 2: Rivoluzione verde e transizione ecologica (totale 69,94 miliardi)

  • M2C1 – Agricoltura sostenibile ed economia circolare – 6,97 miliardi
  • M2C2 – Transizione energetica e mobilità sostenibile – 25,36 miliardi
  • M2C3 – Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici – 22,24 miliardi
  • M2C4 – Tutela del territorio e della risorsa idrica – 15,37 miliardi

Missione 3: Infrastrutture per una mobilità sostenibile (totale 31,46 miliardi)

  • M3C1 – Rete ferroviaria ad alta velocità/capacità e strade sicure – 27.97 miliardi
  • M3C2 – Intermodalità e logistica integrata – 3,49 miliardi

Missione 4: Istruzione e ricerca (totale 33,81 miliardi)

  • M4C1 – Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione – 20,89 miliardi
  • M4C2 – Dalla ricerca all’impresa – 12,92 miliardi

Missione 5: Coesione e inclusione (totale 29,83 miliardi)

  • M5C1 – Politiche per il lavoro – 12,63 miliardi
  • M5C2 – Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore – 12,79 miliardi
  • M5C3 – Interventi speciali per la coesione territoriale – 4,41 miliardi

Missione 6: Salute (totale 20,23 miliardi)

  • M6C1 – Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale – 9 miliardi
  • M6C2 – Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale – 11,23 miliardi

Le riforme previste si articolano secondo tre criteri fondamentali:

  • Riforme orizzontali: innovazioni strutturali dell’ordinamento, d’interesse trasversale a tutte le missioni del Piano, idonee a migliorare l’equità, l’efficienza e la competitività e, con esse, il clima economico (doing business) del Paese. Rientrano in questo contesto la riforma della pubblica amministrazione e la riforma del sistema giudiziario;
  • Riforme abilitanti: interventi funzionali a garantire l’attuazione del Piano e in generale a rimuove gli ostacoli amministrativi, regolatori e procedurali che condizionano le attività economiche e la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese;
  • Riforme settoriali: misure consistenti in innovazioni normative relative a specifici ambiti di intervento o attività economiche, destinate a introdurre regimi regolatori e procedurali più efficienti nei rispettivi ambiti settoriali.

La via degli appalti pubblici nel PNRR: un business miliardario, di non semplice accesso per le PMI

La maggior parte dei finanziamenti previsti dal PNRR sono destinati alla crescita infrastrutturale del paese e della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.

Le imprese avranno dunque enormi opportunità che saranno pubblicate direttamente all’interno dei bandi che regoleranno l’affidamento secondo le procedure previste dal Codice degli Appalti.

Chi conosce a fondo le dinamiche che fanno capo alla PA manifesta un certo scetticismo sul fatto che la macchina pubblica possa gestire questo enorme afflusso di denaro da destinare ai progetti finanziati. Troppo spesso i fondi ottenibili attraverso i finanziamenti europei non sono stati sfruttati per una palese mancanza di iniziativa da parte delle regioni, gli enti deputati a formare i bandi e seguire tutto l’iter di rendicontazione necessario per assicurarsi le somme che i programmi comunitari rendono disponibili per l’Italia.

Secondo quanto espressamente specificato dal piano, per assicurare l’efficace attuazione del PNRR, le Amministrazioni centrali, le Regioni e gli enti locali possono beneficiare di azioni di rafforzamento della capacità amministrativa attraverso due modalità principali: l’assunzione di personale esperto a tempo determinato e il sostegno da parte di esperti esterni appositamente selezionati, al fine di assicurare la corretta ed efficace realizzazione dei progetti ed il raggiungimento dei risultati prefissati.

Nelle ore in cui scriviamo, il MiSE ha indetto una prima procedura di selezione per 400 esperti in vari ambiti del digitale. Si tratta di una vera e propria corsa contro il tempo, in cui cercare di recuperare il terreno perduto in anni di sostanziale immobilismo, che ha causato un preoccupante calo di competitività dell’impresa italiana a livello continentale ed internazionale. Svecchiare la macchina burocratica, rendendola più agile e capace di sostenere le velocità evolutive del sistema produttivo costituisce un momento indispensabile per fare si che #nextgenerationitalia diventi qualcosa di più di un semplice slogan del PNRR.

Dal canto loro, le imprese potranno dunque cercare di ottenere gli appalti della pubblica amministrazione, ma non sarà affatto semplice soprattutto per le piccole realtà, che potrebbero, nella migliore delle ipotesi vedersi relegate al ruolo di subappaltatrici. È infatti presumibile che l’asticella per assicurarsi la realizzazione delle infrastrutture digitali e dei servizi previsti sia piuttosto alta, per una questione di garanzie. Non è tuttavia esclusa la formazione di consorzi tra imprese, per ottenere i numeri necessari per assicurarsi determinati incarichi.

La formazione dei network tra imprese innovative è ad esempio uno degli obiettivi fondamentali dei competence center 4.0, già attivi in otto distretti locali sulla base di un’iniziativa finanziata dal MiSE per prima della pandemia Covid-19. Tali centri hanno il compito di formare e sostenere l’innovazione delle aziende, con particolare attenzione per le PMI, grazie all’azione congiunta delle università e delle grandi aziende tecnologiche partner del progetto.

Per finanziare le iniziative di trasferimento tecnologico delle imprese che si rivolgono a loro, i competence center programmano la partecipazione ai bandi pubblici cercando di formare delle reti di imprese appartenenti al proprio distretto territoriale, in modo da creare dei soggetti più forti e competitivi rispetto a quanto potrebbe esserlo l’azione della singola piccola o media attività locale.

La digitalizzazione delle imprese: tante soluzioni, ma servono strategia e competenze

Un’altra opportunità per le imprese è data dalle varie iniziative utile a finanziare la loro digitalizzazione e/o ad inserirle in determinati circuiti utili a stimolare la crescita economica, con particolare riferimento ai punti M1C2 (Digitalizzazione, innovazione e competitività nel sistema produttivo) e M4C2 (Dalla ricerca all’impresa).

Tra le nuove iniziative già attivate o rifinanziate grazie al PNRR ritroviamo il Piano Transizione 4.0 che prevede 13,38 miliardi di credito di imposta tra il 2021 e il 2023. Le misure previste consentono di finanziare, con aliquote differenti, nuovi impianti tecnologici e beni immateriali come quelli utili a supportare la modellazione 3D piuttosto che le applicazioni basate sull’intelligenza artificiale.

È stato inoltre rifinanziato il Fondo 394/81 per l’Internazionalizzazione delle imprese, gestito da Simest, con l’obiettivo di sostenere circa 4.000 imprese nel loro approdo nei mercati esteri, con specifici importi utili a supportare le varie filiere industriali per un totale di circa 1,5 miliardi di euro.

Molto interessante anche la riforma del sistema della proprietà industriale, per cui vengono riservati 300 milioni di euro sotto forma di credito di imposta per supportare l’attività di oltre 250 progetti attivati da imprese e organismi di ricerca, nella forma di misure relative ai brevetti, progetti PoC (Proof of Concept) e uffici per il trasferimento tecnologico (TTO).

Ulteriori modalità con cui accedere ai fondi da parte delle imprese saranno progressivamente specificate nei piani e programmi che verranno attivati, ed in molti casi la formula prevista potrebbe essere ancora quella del credito di imposta, come già avvenuto nel caso del già citato Piano Transizione 4.0. La copertura prevista per tali misure stimolare gli investimenti privati in beni materiali, immateriali, ricerca e formazione sarebbe garantita dagli importi stanziati dal PNRR.

Per quanto riguarda quanto specificato dalle sei missioni principali del piano, si tratterà di proporre progetti e finanziarli grazie ai plafond previsti dal PNRR. Un punto particolarmente interessante del piano specifica come tra i criteri premianti la selezione dei progetti ammessi ai finanziamenti vi sia “l’effettiva attitudine a stimolare le capacità innovative delle imprese, in particolare le PMI”.

Non si tratta di una condizione facile da affrontare per l’impresa italiana, che secondo un recente studio, presentato da Fondazione Cotec, vedrebbe soltanto due PMI su dieci investire con regolarità nella formazione di personale ICT. Numeri allarmanti, che rilevano come la formazione sia quasi un lusso per le nostre aziende, quando dovrebbe costituire l’elemento su cui fondare un rinnovamento generazionale in favore dell’innovazione digitale.

Nel breve termine appare evidente come questo gap possa essere colmato in azione congiunta con società di consulenza informatica e system integrator dotati di notevole esperienza, con un dimostrato know how nell’indirizzare le imprese dal punto di vista strategico, analizzando il loro business, identificando gli obiettivi da raggiungere e, in ultima istanza, individuare le soluzioni tecnologiche necessarie per trasformare digitalmente i processi aziendali.

Tali incentivi potrebbero comunque sbloccare quelle imprese che, come si suol dire, “si fermano al PoC”, affrontando un percorso di analisi, ricerca e sviluppo di un concept funzionante, senza dare un effettivo seguito alla sua implementazione nei processi produttivi.

Il PNRR prevede moltissime opportunità anche per le start-up, attraverso il potenziamento del Fondo Nazionale per l’Innovazione di Cassa Depositi e Prestiti e molti altri driver utili ad attivare i venture capitalist, con un’attenzione specifica per quanto riguarda le start-up green, le start-up per il turismo e la giovane imprenditoria femminile (Fondo Impresa Donna). Le start-up rientrano inoltre nel contesto più ampio di rapporto tra ricerca e impresa, con maggiori possibili derivanti dagli incubatori nei vari distretti locali.

Ricerca e impresa: un rapporto che va chiarito

In merito al dialogo e al connubio tra università e imprenditoria, vi è una notevole aspettativa su quanto potrà generarsi nel rapporto tra ricerca e impresa, in continuità con le iniziative già in atto. All’azione dei già citati competence center dovrebbe aggiungersi quella dei nuovi centri per le tecnologie emergenti previsti dal PNRR. Intesi quali “campioni nazionali di ricerca e sviluppo su alcune key enabling technologies”, occorre capire cosa rappresenteranno nella sostanza, soprattutto quando si cercherà di dare forma a questa curiosa descrizione.

È inevitabile che il catalizzatore della formazione, in un contesto in cui up-skilling e re-skilling saranno più che mai fondamentali, l’azione delle università diventerà sempre più centrale, sia nel dare corpo a nuovi piani didattici, capaci di formare finalmente quelle figure professionali davvero utili ai vari comparti tecnologici dell’innovazione, che nel sostenere direttamente la ricerca e la formazione delle imprese attive sul territorio.

Le misure a sostegno delle università dovrebbero anche cercare di contenere il noto problema della fuga all’estero dei nostri ricercatori, con 600 milioni di euro che verranno destinati a dottorati innovativi che corrispondono direttamente ai fabbisogni delle imprese, che a loro volta dovrebbero impegnarsi ad assumere le figure formate al termine del loro percorso accademico. Si tratterebbe di una lodevole iniziativa per sviluppare competenze di altro profilo, con una previsione di circa 5.000 borse di studio per dottorati triennali, con possibilità di co-finanziamento privato e incentivi all’assunzione in azienda.

È dunque importante che i nuovi centri che saranno finanziati dal PNRR diventino effettivamente rappresentativi delle realtà cui si riferiscono e che le università coinvolte escano da quel confine di autoreferenzialità che le ha troppo a lungo contraddistinte.

Mai come ora è importante fare rete di conoscenze ed esperienze. Mai come ora è indispensabile non lasciare indietro nessuno, offrendo a tutte le imprese che vorranno affrontare la sfida dell’innovazione le opportunità che meritano. I competence center e i centri per le tecnologie emergenti dovranno dunque evitare una condizione lobbistica, investendo in adeguate campagne di comunicazioni utili a incoraggiare e coinvolgere il tessuto imprenditoriale che li circonda.

Tra tanti dubbi, un’unica certezza: le imprese saranno chiamate ad affrontare una sfida senza precedenti

Se da un lato il PNRR innesca un’ondata di genuino entusiasmo, lasciando intravedere una inedita progettualità nell’iniziativa pubblica, dall’altro non possiamo trascurare l’evidenza dei fatti. Il PNRR è una grande scommessa, un debito maturato in previsione di ripagare un debito ancora più grande. Un debito che dovrà essere ripagato dal sistema produttivo italiano, fatto in gran parte di quel tessuto imprenditoriale di piccole e medie imprese che, con il loro coraggio e la loro iniziativa, dovranno prendere ancora una volta in mano le sorti dell’economia del paese.

Dei 191,5 miliardi di euro che il PNRR finanzia grazie al RRF, soltanto 68,9 sono da considerarsi a fondo perduto. Il resto, e parliamo di ben 122,6 miliardi, sono erogati sotto forma di prestito. Se il nostro Paese non sarà in grado di restituirli, vedrà ulteriormente aggravarsi un debito pubblico già enorme prima del Covid, con l’aggravante costituita da tutte le misure straordinarie che il Governo ha dovuto adoperare per far fronte all’emergenza della pandemia.

Le imprese dovranno più che mai investire nella formazione e acquisire quelle competenze next gen che vanno oltre un paradigma formato da cloud, intelligenza artificiale, IoT, realtà virtuale, robotica, cibersecurity e da tutte le tecnologie emergenti chiamate ad abilitare la digitalizzazione.

A fare la differenza sarà il fattore umano. Da questo punto di vista, il piano si rivela promettente, soffermandosi con puntualità per prevenire e superare le questioni discriminatorie, soprattutto nell’ottica di cercare di ridurre i divari tra le varie categorie di lavoratori, con particolare attenzione per le donne e i giovani.

Un altro degli aspetti rilevanti del piano è costituito dalla volontà di promuovere la concorrenza per favorire l’efficienza e la crescita economica, oltre a garantire una maggior qualità a vantaggio della funzione sociale in mercati come quello dei farmaci o dei trasporti, storicamente condizionati da limitanti monopoli.

Le intenzioni del piano e l’apertura nei confronti dell’imprese sono certamente lodevoli nel loro complesso, anche se siamo costretti a concordare con gli analisti che hanno evidenziato una preoccupante lacuna nelle modalità di attuazione, almeno nella fase propositiva che ha portato alla stesura del documento principale. Le opportunità per rimediare ci sono, anche se il tempo a disposizione si prospetta molto risicato, soprattutto in quei settori, pubblica amministrazione su tutte, che più di ogni altro necessiterebbe di un ricambio generazionale per assicurare una cabina di regia consapevole di quanto oggi sta accadendo nello scenario dell’innovazione digitale.

Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare direttamente il documento integrale del PNRR, pubblicato sul sito ufficiale del Governo.